lunedì, settembre 04, 2006

Teatrino

Il rumore assordante delle ruspe e del crollare di mura di roccia fecero tremare la mano a Pablo Eménez, che si versò il caffé sulla sua nuova giacca verde acqua.
Urlò al manovratore qualcosa che nessuno in quel frastuono avrebbe mai potuto udire e sbatté la tazzina su un armadio per gli attrezzi, quasi rompendola.
"Pablo! Pablo!" Il capo cantiere lo stava chiamando a gran voce dal suo confortevole ed insonorizzato prefabbricato.
"Cosa ? Cosa c'è?" Chiese lui di rimando, infastidito da ogni parola che quell'ingeniere grasso e calvo gli rivolgeva.
"Devi fare un altro giro per controllare che nessuno sia nel locale principale. Questa notte non è stato chiuso bene." Il tono non ammetteva repliche, ma Pablo decise di opporsi comunque.
"Ci vado dopo, è la mia pausa pranzo adesso!"
"La tua pausa è quasi finita e sei l'unico disponibile! - Gridò ancora l'ingeniere con disappunto per dover dei chiarimenti ad un suo sottoposto, - Inoltre devi farlo adesso perché stiamo per buttare giù i pilastri portanti hai capito? Viene giù tutto dopo!"
Pablo sbuffò il più platealmente possibile per farsi vedere da quella distanza, ma quando rialzò lo sguardo il suo capo si era già dileguato negli agi del suo alloggio.
Frustrato, diede uno schiaffo alla tazzina mandandola al suolo in frantumi, sfogando su quella tutta la sua rabbia repressa.
Era sicuro che almeno una dozzina di operai avrebbero potuto fare quel controllo, ma niente esaltava l'ingeniere più di rivalersi sul 'fortunato' vice ispettore ai lavori, reo di essere lì per parentele strette con il proprietario del nuovo parcheggio che sarebbe sorto sulle macerie del vecchio teatro Mondos, ormai abbandonato e decadente.
Pablo cominciò ad avanzare verso la struttura, schivando e scansando macerie, macchinari e operai al lavoro.
Si guardò un pò intorno finché non localizzò una grossa crepa verso l'interno del locale. Si tolse la giacca ormai irrimediabilmente rovinata e si diresse da quella parte, imbucandosi non senza sforzo tra i buchi e le intercapedini del muro.
In pochi passi, si ritrovo a passeggiare tra file di sedie laterali grigie, lì dove la polvere aveva coperto il rosso laccato di un tempo.
La luce che filtrava dai tanti cunicoli creati dai lavori era l'unica illuminazione che rendeva visibile la grande sala del teatro, gettando su tutto una fatiscente atmosfera.
Pablo si fece più avanti e raggiunse il corridoio principale, vicino alle vecchie porte d'ingresso. Sfruttando l'acustica di quella posizione, si preparò ad urlare un 'C'è nessuno?', ma mentre stava prendendo il fiato, un botto sordo verso il palco lo spezzò.
Girandosi, vide che a cadere era stato un grande sacco dalle fattezze umane, dipinto e vestito per dargli più credibilità. Poi una frase ad alta voce ruppe il silenzio:
"Cosa mai hai fatto? Quale diavolo o incubo antico ha sussurrato al tuo orecchio un simile orrore, e perché mai tu gli hai prestato ascolto?" La voce era carica di tensione, di un timbro potente che per un attimo fece tremare nuovamente Pablo, pareggiando con le ruspe di prima.
Subito dopo, un uomo di mezza età saltò sul palco da chissà quale altezza, rizzandosi in piedi con i pugni sui fianchi, in posa di trionfo.
L'uomo portava un costume a dir poco ridicolo; fatto di stoffa, latta e filo di plastica luminoso.
Pablo giudicò difficile capire da cosa fosse travestito, poteva essere un uomo del futuro come uno straccione od un giullare; anche se per lo più sembrava un pazzo.
L'uomo si chinò sul finto corpo supino.
"Come potrò ora, mia dolce compagna, vivere del tuo ricordo, se questi non è che un pallido riflesso di ciò che eri in vita? Come posso rassegnarmi ad una simile esistenza?"
L'uomo urlava al cielo, come se stesse dialogando con Dio. Pablo decise di avvicinarsi con calma verso il palco.
"Posso forse baciare un ricordo? Posso forse guardarlo o toccarlo? Posso amare un ricordo come tu amavi me nelle lunghe notti di gelo su Plutarco?"
"Signore! - Lo interruppé Pablo in quella che sperava fosse una pausa, - Signore cosa fa qui? Deve uscire!"
L'uomo lo guardò, e Pablo fu scosso dal terzo brivido di quella giornata.
Questa volta erano stati gli occhi dell'uomo a gelarlo, ma non per l'emozione che avevano fatto scaturire, quanto per l'estranietà che gli avevano trasmesso.
Occhi di totale passività gli erano stati rivolti da un uomo panciuto vestito da pagliaccio, ma erano occhi che si riservavano ad un piccolo ragno od insetto, non ad un altro essere umano.
L'uomo tornò a rivolgersi al suo cielo immaginario.
"No. Non posso, ed è questa l'unica risposta. A meno che anche io divenga un ricordo, così da poterti seguire lì dove la luce ti ha portato."
Pablo era comunque deciso a non farsi intimidire.
"Signore! Ha capito cosa le ho detto? Scenda di lì!"
L'uomo fece una smorfia, come se fosse stato infastidito da una mosca. Si abbassò con circospezione verso Pablo, per non farsi troppo notare dal suo pubblico assente.
"La vuole smettere per favore? Questo è il momento più drammatico!"
Aveva sussurrato; la cosa era tanto assurda che Pablo si girò per un attimo, per vedere chi li poteva ascoltare. Constatando che ovviamente erano soli, guardò il pazzo che aveva di fronte.
"Ma cosa sta dicendo? Deve scendere! Qui fra poco buttano già tutto."
"Bé, caro mio, non possono certo farlo durante l'ultimo atto! Quindi almeno mi faccia finire."
"Ma quale atto?! Non vede che non c'è nessuno? Questo teatro è chiuso da un pezzo!"
L'uomo fece una espressione mista tra offesa ed imbarazzo.
"Suvvia! So bene che il pubblico è quel che è, ma è nostro dovere recitare per esso. Sia composto di mille, cento, o anche di uno solo."
Pablo era troppo preso dalla conversazione per accorersi di quanto questa stesse prendendo una piega assurda.
"Ma qui nemmeno di uno si tratta! Qui non c'è nessuno le dico!"
Un sorriso si stampò in faccia all'attore.
"Oh, bella, ed allora lei chi è?"
"Ma io non sono nessuno!"
"Oh, conosco solo un altro uomo che si proclamò Nessuno un giorno, e non si trattava di un uomo buono."
"Ma io non sono Nessuno! Io sono nessuno! .. cioé, non sono uno del pubblico!"
"Ma lo diventi allora! Le sembra il momento di interrompere una intera scena topica per le sue crisi esistenziali?"
"Ma, ma quale crisi .. ? E poi scena topica di COSA ?!"
"Buona luce! Ma del "Delitto su Plutarco" no? di Cassandra Kaine! Non vorrà dire che non conosce l'opera?"
"Bé, veramente non mi intendo di teatro, ma una simile drammaturga non l'ho mai sentita nominare .."
"E mai la sentirà, visto che invece di andare al teatro, voi i teatri li buttate giù!"
Ora tutto era chiaro.
Pablo si ricordò del suo ruolo in quella paradossale conversazione e capì che quell'uomo altro non era che qualche pazzo che voleva impedire la demolizione del locale, inventandosi chissà quale pantomima pur di attirare l'attenzione.
"Senta, non è affar suo cosa faccio o non faccio dei teatri. Ed ora scenda che qui è pericoloso."
"Non è affar mio dice? E come potrebbe non esserlo quando tutto ciò che vive in questo teatro sta per morire, sepolto da macerie, ferro e cemento? Ma non si rende conto che il teatro non è solo mura e luci, ma è anche amore, dolore, emozione e pianto? Il teatro è vita!"
"No, senta - Pablo cominciava a stancarsi, - la vita non è certo nel teatro, la vita è là fuori, dove amore dolore eccedera, come dice lei, nascono, e non vengono mimate dagli attori!"
"Mimate. Mimate ha forse detto? - L'uomo questa volta si ritrasse con un espressione offesa in volto, ferito più di quanto Pablo aveva intenzione di fare, - Creda forse che finga quando dico di amare questo pupazzo? Forse ho finto, o forse mentivo, ma a forza di fingere mi sono innamorato di questa finzione. Perché io amo l'opera ed il personaggio, e questo pupazzo è il mezzo per esprimere il mio amore."
Pablo non capiva. Guardo il corpo inerte della donna dipinta, cucita su stoffa grezza gonfia di paglia, ma non capiva ancora. L'uomo se ne accorse e continuò a spiegare:
"E guardi questa ventola! Crede forse che io la veda mentre mi difendo dai gelidi venti di Venere? Io non la scorgo più attraverso le lande desolate, le albe tra la fascia di asteroidi ed il dolore delle mie membra esposte ai più terribili tifoni."
"Ma quei tifoni non ci sono! Diamine, quella ventola è lì e lei la vede!"
Scoppiando a ridere, l'uomo saltò cavalcioni su una scopa che poggiava su un comò.
"E non sente forse l'odore acre del mio destriero di metallo? Spinto oltre il mare dalla sua lucente anima di fotoni ribelli, contro ogni drago ed ogni cavaliere che oscuro intralcia il cammino della giustizia?"
"La smetta! - Urlò forte Pablo Eménez, - La smetta e scenda da lì le ho detto!"
"Ma come posso scendere quando le oscure magie della dama scura mi inseguono, planando con le loro ali di tenebra e sangue, schiumando bile ed urlando follie?"
"basta!" Urlò nuovamente Pablo, ma era difficile farsi udire attraverso tutto quel vento e quegli sbuffi marini. La tempesta infuriava come non mai sotto le lune ed i pianeti di quell'universo sconosciuto.
L'uomo a cavallo tese la mano guantata nella scintillante armatura e Pablo la afferrò facendosi aiutare a salire in groppa allo strano animale di carne, metallo e vetro, che furente nitriva contro quell'oceano di meraviglie.
"Gridi con me nella furia degli dei! Faccia sentire che la sua anima non è morta, che mai potrà morire, e che se anche le disfaciessero le membra, se anche la bruciassero e la seppellissero per sempre nel ricordo dei morti, la sua anima sopravviverà e vivrà sempre, sempre, SEMPRE!"
Pablo gridò, come mai aveva gridato prima.
Non fu un urlo di gioia, non fu un urlo di dolore. Non fu di stupore, di paura o di boria.
Fu un urlo di una forza ultraterrena, proveniente da tutto e dall'oltre. Dall'anima stessa dell'uomo.
E tutto si accese.
In un attimo di eternità, uno silenzio innaturale fu rotto da un enorme scrosciare di applausi. Un'assordante rumore di batter di mani che riempì di nuovo l'anima di Pablo, svuotata da quell'urlo di energia.
Poi tutto si spense ancora. E la luce accecante di poco prima lascio il posto alla tenue luce solare, che tornava a filtrare tra i buchi del soffitto, rendendo visibile la polvere vagante nell'aria.
Pablo si girò, ma non vide nulla. Era solo.
Quando uscì, l'ingeniere capo gli urlò qualcosa che lui non udì, mentre si allontanava dal cantiere.
Le ruspe che si abbattevano sul teatro, distruggendolo, gli apparivano lontane come dei tuoni in un altra città.
Pablo sorrise, perché sapeva bene che per ogni mattone che cadeva, lui ne avrebbe edificati due.
Ed un giorno avrebbe scritto le prime pagine di una storia, una bella storia, che una sua lontanissima nipote, Cassandra, avrebbe ritrovato in uno scrigno, regalando al mondo amore, dolore, emozione e pianto, e perché no, anche della vita.

Nessun commento: