lunedì, gennaio 26, 2009

Stupro

Se ne stanno dicendo parecchie in questi giorni, dalle provocazioni di Beppe Grillo, ai commenti di associazioni di aiuto alle donne che francamente, nella loro deculturalizzazione dello stupro, prendono un grosso abbaglio.
Sostenere la tesi dello stupro come una tendenza maschile intrinseca è infatti una forma di biologismo dell'aggressività che lascia davvero interdetti perchè non confortata dai fatti.
Tutte le ricerche interculturali effettuate, una su tutte quella della Sanday [1981] che ha messo a confronto circa 90 culture diverse, dimostrano che l'incidenza dello stupro varia notevolmente da una cultura all'altra e lo stupro si inserisce e acquista significato per il maschio solo all'interno di una configurazione di valori e istituzioni particolari.
Lo stupro è più frequente nelle società in cui la violenza è giustificata, i maschi sono considerati dominatori e c'è separazione fra i sessi.
All'interno di una stessa cultura l'incidenza dello stupro varia in modo significativo nei vari strati sociali: una donna ispanica o nera ha più probabilità di essere violentata di una donna bianca; i tentativi di violenza sono perpetrati più spesso da amici e conoscenti che da estranei; e una donna delle classi povere e meno istruita o residente nelle grandi città rischia lo stupro più di una donna delle classi medie che abita in un quartiere residenziale di una cittadina di provincia.
Naturalmente queste sono tendenze generali che si scontrano con casi specifici "devianti", ma stanno a significare che lo stupro non è un fenomeno trasversale e transculturale.
Gli stupratori a loro volta risultano essere più probabilmente neri o ispanici che bianchi, risiedono in città e sono scarsamente istruiti.
Anche la teoria di una natura psicopatologica dello stupro non trova riscontro nei fatti: soltanto pochi stupratori sono classificabili come malati mentali.
Quello che gioca un ruolo più importante sono le idee sul sesso.
In particolare se i maschi sono cresciuti in una sottocultura in cui i miti relativi allo stupro sono comuni, e lo stupro è considerato sessualmente stimolanti, saranno più inclini a perpetrarlo.
Secondo questa concezione le donne apprezzano la violenza maschile, sono sessualmente eccitate dal maschio che le obbliga all'atto sessuale, si sentono in colpa per la sessualità e quindi considerano la coercizione sessuale un modo di soddisfarsi senza doversi vergognare.
Se la cultura è il terreno di attecchimento di un atteggiamento deviato nei confronti delle donne è nella cultura che vanno trovate risposte e rimedi.
Quando lo stupratore è un extracomunitario trovo un po' pruriginoso ipotizzare una fenomenologia solo psicologica o sessuologica, minimizzando la cornice culturale più ampia in cui si iscrive. Le culture di provenienza sono una chiave di lettura importante e prenderle in considerazione non configura minimamente un tentativo di discriminazione socio-razziale.
E integrare vuol dire anche emancipare, senza false ipocrisie e terzomondismi ciechi.

Giulietta Capacchione


sabato, gennaio 24, 2009

venerdì, gennaio 23, 2009

W il 5 in condotta

Finalmente nella scuola vedo qualcosa di utile, il 5 in condotta che porta immediatamente alla bocciatura.
Non è molto, certo, ma almeno è qualcosa. Un qualcosa che avvicina di un passo la scuola a quella che dovrebbe essere, ovvero un istituzione il quale scopo è educare i ragazzi, insegnarli a vivere nella comunità e renderle in futuro delle persone mature.
C'era un tempo, forse risalente ai miti greci, dove la scuola non aveva smarrito il proprio ruolo sociale, dove la disciplina (Seppur eccessivamente ferrea) ed il rispetto erano le materie principali, soltanto catalizzate nelle scienze e la letteratura.

La scuola moderna ha smesso da tempo di cercare di elevare i propri alunni, limitandosi a valutare le loro nozioni, incurante del carattere e della personalità che i ragazzi sviluppano. Riempire un vaso d'acqua senza curarsi se il vaso è bucato, però, serve solo a sprecare tanto liquido.
Purtroppo gli insegnanti attuali sono i primi ad essere cresciuti in un sistema che mai si è curato della loro persona, convinti che chi conosce alla perfezione l'arte, le scienze o le lingue è sicuramente una persona matura.
Ahimé, non mi pare difficile capire che la cultura non contiene in sé la coscienza, che la semplice capacità di recitare poesie o elencare la tavola periodica non significa conoscere i valori morali ed i comportamenti necessari per vivere nel mondo, almeno nel mondo che vorremmo esistesse.

E' radicata in molti ragazzi la convinzione che la scuola esista per consegnare un titolo di studio che serve solo per trovare un lavoro. Essi studiano nella speranza di trovare un guadagno materiale in età adulta, ed ancora più tristemente la maggior parte frequenta gli istituti perché è normale farlo.
La scuola ha convinto i propri alunni che se si possiede una competenza sufficiente in tutte le materie, allora si è autorizzati a comportarsi come delle bestie e ciò nonostante venire comunque premiati dall'istituto con la promozione all'anno successivo.
Dico questo perché protestare contro il voto in condotta questo vuol dire.

Il voto in condotta all'estero non esiste, ma ogni azione intrapresa dagli alunni DENTRO E FUORI DALLA SCUOLA, è presa in seria considerazione e può portare all'espulsione dall'istituto, cosa che influisce anche sul'ammisione a qualsiasi altro istituto.
Qui non si parla di studio, si parla di sapersi comportare, perché che il bullo del cortile conosce a memoria la divina commedia non frega a nessuno e non gli consente di infilare la testa dei compagni nel gabinetto per divertirsi e filmarsi con il cellulare.
Non si può pretendere che un paese come il nostro emuli una esemplare condotta giapponese, ma per lo meno non ci si metta a protestare per un provvedimento che non fa altro che punire chi se lo merita.

P.S. E che la Gelmini la smettesse di andare su youtube, che tanto non se la fila nessuno e non si diventa "Simpatici" o "Fichi" solo perché si usa il mezzo di comunicazione dei dementi. Come dire: "Se i ragazzi non leggono i giornali, allora le cose ve le faccio dire dai Simpson" ...

giovedì, gennaio 22, 2009

domenica, gennaio 18, 2009

Tizio buffo

Sedia

Ciao pà .. mi si sono rotti gli schienali delle sedie in cameria mia ed a forza di stare davanti al pc stò diventando gobbo ... non è che tene avanza una da qualche parte ? :)

Matrimonio

Cos'è per me il matrimonio ?
Il matrimonio è una cerimonia, una convenzione.
Una inutile messa in piazza dei propri sentimenti, omologandoli a quelli di migliaia di persone che non né conoscono né ne conosceranno mai il significato.
E' la banalizzazione del proprio rapporto, la risposta all'esigenza sociale di standardizzare i sentimenti, di renderli legalmente accettabili.
La regolamentazione della propria vita, la grande mascherata con la quale si attesta ciò che non avrebbe nessun bisogno di essere esposto. La disascrazione di qualcosa di santo e miracoloso.
Il ballo al quale una grande massa di ignoranti ed ipocriti costringe a partecipare due persone compiaci di tanta falsità.

Questo è quello che pensavo del matrimonio. Forse lo penso ancora, forse no. In realtà ho trovato di meglio a cui pensare, perché c'è decisamente di meglio a cui pensare.

Visto ciò che ho scritto sopra, non mi stupirei se qualcuno condividesse la mia idea. In tutta sincerità, ancora ho difficoltà a capire cosa rappresenti il matrimonio per chi vi aspira così tanto.
Ma odio il matrimonio ? No, certo che no.
Odiarlo sarebbe senza senso, perché per quanto possa ritenerlo una pratica del tutto sopravvalutata non vedo proprio quale sia il male che possa fare.
Se il matrimonio ha mai rovinato una coppia, a farlo è stata l'idea del matrimonio che quella coppia aveva, e non certo l'atto di scambiarsi delle fedi o di gettare via il bouquet.

Il matrimonio è un atto di celebrazione. Il canto d'amore che due persone vogliono dividere con il mondo che possono sentire e vedere, il mondo che possono toccare: i propri parenti, gli amici, i conoscenti.
Il matrimonio è soltanto una cerimonia, allora perché mi dovrebbe dare tanto fastidio eseguirla ?
Ho fatto tante storie per la comunione ? Per le feste di compleanno ?
Le cerimonie sociali che ci troviamo a praticare nell'arco di una vita sono tantissime, farne una in più è davvero tanto doloroso ?

Parlandone, mi sono reso conto che l'avversione che potevo provare per il matrimonio, da ovunque essa provenisse, non avrebbe mai dovuto procurare dispiacere alla persona da me amata.

Sarebbe veramente ridicolo se proprio l'ipocrisia riconosciuta nel matrimonio fosse causa della mia ipocrisia.

L'ipocrisia di decretare stupida ed inutile una cosa importante per qualcuno di importante.
L'arroganza di decidere io per tutti e due, di dire no senza un vero motivo, convinto che i miei non-motivi siano più elevati dei motivi che potrebbe avere chi al matrimonio ci tiene, coloro per i quali significa più di una semplice cerimonia.

Ci sono talmente tante cose per me importanti che altri potrebbero considerare futili ed inutili che ci potrei riempire una petroliera.

Chi sono io per dire che una cosa importante per tanta gente è stupida ed inutile ?
E talora anche lo fosse davvero, che dolore potrebbe provocarmi acconsentire ad essa rispetto al dolore che provocherebbe per la mia controparte rinunciarci ?
Mi sono reso contro che non c'è nulla di veramente banale nel matrimonio se non l'idea che alla gente piace avere del matrimonio.
Quando vediamo uno che piange al solo vedere due sconosciuti che si dirigono all'altare ci viene da ridere, ma quanti di noi preferirebbero essere al suo posto piuttosto che l'arido cinico che cercano di apparire ?
Se non sei pronto a risultare ridicolo, allora niente di bello ti capiterà mai nella vita.
Questo èun detto a cui credo.
Se non ti interessa il matrimonio perché non ti interessa l'opinione degli altri, allora interessati almeno a quello della persona che ami, perché se anche il matrimonio si rivelasse essere un giorno di festa tra i le centinaia di giorni di festa che trascorrerai, sarà sempre e comunque meglio di uno dei tanti giorni ordinari che hai già passato fin'ora.

P.S. Questo post è dedicato principalmente a Stefano, anche se probabilmente non lo leggerà mai ..

Passo dopo passo

Riuscire ad apprezzare visioni mentali aliene alla nostra è indubbiamente uno dei passi fondamentali che chi cerca di percorre la via dell'illuminazione deve compiere.
Per chi si prepara a farlo, dal basso della mia esperienza, posso solo consigliare di non sentirsi speciali, di non pensare di esserlo ma, soprattutto, di non pensare che gli altri ci siano inferiori.
Il sentiero dove tutti ci troviamo non segue un verso, ed è presuntuoso anche per un santo pensare che si possa dividere le proprie conoscienze in ciò che sta dietro ed in ciò che sta davanti.
Siamo tutti alla ricerca di noi stessi e la cosa più sorprendente è scoprire ogni giorno ciò che già sappiamo da sempre.
Non c'è niente di speciale in noi se non quello che possiamo osservare. La ricerca del nostro io altro non è che l'osservazione dell'infinita moltitudine della vita.
Per noi piccoli uomini è impossibile smettere di glorificarci. Smettere di comprare oggetti che ci celebrano; smettere di cercare di diventare famosi, rispettati ed onorati.
Questo impedimento è tanto forte in chi vive attraverso gli occhi degli altri come in chi cerca di ripararsi da quegli sguardi.
Chi cerca di ergersi a diverso non è dissimile da chi vuole primeggiare. La banalità della ricerca del nostro io originale.
Sarebbe bello se tutti potessimo scoprirci uguali agli altri ?
Sarebbe stupendo se potessimo dimostrare di essere migliori degli altri ?
Credo che l'unica cosa che avrebbe veramente valore sarebbe riuscire a convivere con questa nostra incompletezza.
La felicità esiste solo quando chiudiamo gli occhi. Si perde con la velocità di una lacrima trascinata dalle note di una canzone.
Quando smettiamo di pensare a cosa sia utile e cosa non lo sia. Quando nell'eterno attimo di un'emozione possiamo sentire quello spiraglio di comunione con tutto il resto.
Trovare sé stessi significa perdersi nel tutto. Smarrirsi per sentirsi vivi.
La mancanza dei nostri affetti, la presenza dei nostri dolori. La periodica sensazione di vuoto che ci opprime fino a quando non ce ne disinteressiamo, pensando che "Va bene così".