lunedì, novembre 15, 2010

Sentiero

Cammina nella sabbia mentre il sole è folgore
cenere attraversa il suo sguardo sopito
tutto era e tutto è polvere
di luce e ottone tutto è guarnito

La mente viaggio ove non c'è colore
la bocca tiene nascosto un sorriso
nell'ultimo giorno illuminato dal sole
l'ultimo uomo cammina sul suo viso

Egli protende la sua mano di fiamma
nulla risponde al solitario abbraccio
ma egli è convinto di toccare una palma
fatta di soave eterno ghiaccio

Sei tu pace o dannazione ?
Chiede l'uomo con tutto il fiato
Ciò che importa è la destinazione
Risponde l'altro chiamato fato

Anarquia

Parlare con il mare

Quanto è anacronistico in quest'epoca perdere tempo prezioso a soffrire per la condizione umana.
Il fatto è che il tempo non è così tanto prezioso per noi. Noi che ne abbiamo da perdere, noi che godiamo nel perderlo.
Non sono sempre depresso, ma quando lo sono scrivo, motivo per cui posso apparire come una persona eternamente triste, o stupidamente sconsolata. Affranta da un futuro senza prospettive, capace solo di condurre alla tomba, con la dolcezza con la quale ci si addormenta al concludersi di una giornata felice.
Non è nei miei piani fare tante cose. Non mi interessa scalare l'Everest, vincere il campionato di decathlon o invadere la Polonia per la milionesima volta.
Non ho grandi prospettive. Nessuno della mia generazione credo ne abbia.
La prossima almeno ha degli dei al quale confessarsi, come il grande fratello, gli x-factor o gli amici di Maria.
Noi di prospettive non è che ne abbiamo mai avute, ma è veramente troppo semplice scaricare tutto su una depressione generazionale.
E' comodo pensare che non è colpa nostra, che è la società ad averci reso cinici.
Già da bambini abbiamo imparato che il fallimento non è fallimento se viene mascherato da successo, che i soldi sono il metro di giudizio della civiltà e che gli idealisti, i romantici, non sono altro che dei fattoni perditempo, che non concludono niente.
Ma cosa concludono gli altri ?
Io non voglio concludere niente. Quello che mi piacerebbe è credere.
Vedo tanta gente intorno a me. Gente adulta, con vite complesse. Gente che sta concludendo la sua carriera professionale, gente che vive le sue giornate all'avventura.
Non sembrano persi e smarriti quanto me. Nessuno sembra nemmeno un essere umano quando si è tristi.
Non voglio consolazione. Quella no. Non mi interessa nemmeno la comprensione.
Mi interessa solo scrivere, mettere sulla rete questo posto come un naufrago mette il suo messaggio nella bottiglia, affidandolo al mare, conscio che questo non servirà a salvarlo.
Non voglio parlare con te, voglio parlare con il mare.

lunedì, novembre 08, 2010

Delurabbia

Quello che provo al momento è un senso di delusione misto a rabbia. Rabbia di non poter cambiare ciò che mi sta intorno senza distruggere quello che sono ora.
L'idea che, una volta operato lo sfacelo, se le cose non miglioreranno, o anzi peggioreranno, a quel punto sarà anche colpa mia.
Non mi sento sotto pressione, non ho responsabilità per quanto succede. Questa è la naturale destinazione di un treno partito molto tempo fa. Un treno con pendolari che devono scendere su binari differenti.
Che ne so, sarà questa carrellata di tutta la serie di Rocky che stanno dando da due mesi a questa parte, ma mi sento proprio come un pugile suonato.
Un atleta che non ha niente da dimostrare a nessuno, non più, e che se si rialza lo fa solo per sé stesso, e non per lo spettacolo, o per l'onore, o per quegli alti ideali.
Come un moderno e borghese barbone che stanco si accascia su una panchina, sfogliando i giornali lasciati per terra, mi siedo su una scomoda sedia di legno, digitando parole a caso su internet.
La rabbia si sopporta. Raggiunge un apice e poi scema. Ma la delusione no, quella permane, si insinua nelle ossa come un freddo siberiano, che non ti lascia più nemmeno dopo anni.
La delusione è l'intuitiva percezione di aver perso la fiducia, ti fa sentire solo, incompreso ma non confuso.
Anzi, di norma schiarisce le idee.
Alla delusione segue la comprensione e poi l'accettazione. L'accettazione che il mondo è diverso da come lo vedevi.
Più a lungo si trascina questo limbo di idee, più si soffre.
Quello che è difficile mandare giù, è che non si vuole soffrire. Ogni attimo di tristezza è un ulteriore riprova della propria stupidità pregressa.
La potrei chiamare delurabbia, soprassedendo ad un mio scarso vocabolario emotivo.
La delurabbia è una viscida lumaca, di un colore smorto, indefinito, che striscia sulla tua gamba con lentezza, portandosi via molto del tuo entusiasmo.
la delurabbia fa schifo, è un inutile bagaglio dimenticato nell'angolo della stanza che non si ha voglia di disfare.
Ma passerà anche questa, e riderò di queste parole.
Così procede.