martedì, ottobre 26, 2010
Diario di un giovane Haker
mercoledì, ottobre 20, 2010
La cagnetta della Raffineria
Ricordi lontani
Ieri sono dovuto andare ad un appuntamento di fronte al mio vecchio liceo.
Una volta parcheggiato, mi sono soffermato ad osservare le rosse cornici delle finestre, i corridoi nei quali trascorrevo le ore di buco, il cortile che frequentavo a ricreazione.
Non sono mai stato famoso per la mia memoria. Anzi, la facilità con la quale mi dimentico le cose è divenuta proverbiale tra la mia compagnia, ma devo dire che ogni reminiscenza risalente ai tempi della scuola mi giungeva lontana, quasi impalpabile alla mia mente.
Ricordavo degli eventi, delle situazioni ed anche dei pensieri, ma nessun odore, suono, emozione.
Era come osservare i ricordi di un altra persona attraverso uno schermo.
La vita di un parente, o di un amico che ricordi con affetto, ma non la propria.
Sentivo così poco contatto con il me stesso di quel tempo. Eppure è passato così poco da quando mi preoccupavo della prossima interrogazione, o del compito in classe.
Solo pochi anni sono bastati a sbiadire una intera vita precedente.
Penso con il sorriso ai miei problemi del tempo, ma senza deriderli. Ogni quotidianità ha i suoi scogli e le sue preoccupazioni, forse oggettivamente inferiori a quelli di altri, ma non per questo di poco valore.
E' curioso come senta più presenti i primi e gli ultimi giorni che ho passato in quell'edificio, lasciando nel mezzo una serie di episodi indefiniti, in ordine sparso e confusionario.
Tante volte mi vien da pensare a cosa potrei dire al me stesso di ieri, per poter rendere più sereno il mio presente. E' un pensiero divertente ma a volte frustrante.
Credo che quasi nessun insegnamento veramente importante possa essere tramandato senza l'esperienza.
Tutto quello che si può fare è prepararsi, abituarsi per tempo, ma nulla ci mette in condizione di comprendere l'ignoto prima di confrontarsi con esso.
A questo proposito, ho trovato maggiormente utile l'accettazione rispetto alla comprensione.
Accettare che non siamo in grado di comprendere è il primo gradino per la conoscenza.
Fin da adolescente osservai che il mondo nel quale mi muovevo, il mare nel quale nuotavo, era del tutto differente da quello degli adulti, da quello dettato da differenti culture e condizioni sociali.
Solo ora che ho "Passato" alcuni di questi "Cambi di stato", però, mi rendo conto di quanto effettivamente lontani sono gli universi che ci contraddistinguono.
Mi chiedo se un giorno avrò la capacità di superare questo gap per comunicare con coloro ai quali tengo.
venerdì, ottobre 15, 2010
Schiavi di sé stessi
E' con un certo rammarico che noto un aumentare di fervore ideologico nelle persone intorno a me.
La curiosità verso stili di vita differenti, nuovi modi di vedere il mondo e sé stessi, sembra sempre una attività positiva, l'inizio di un percorso di auto determinismo.
Ma, per definizione, si cerca ciò che non si possiede. Per questo motivo chi parte in cerca di sé stesso deve prima accettare il fatto di non conoscersi, di non sapere.
Il primo passo di ogni percorso formativo è la scoperta dell'umiltà.
Senza di essa non potremmo mai spogliarci del nostro vecchio io. Come moderni San francesco dobbiamo abbandonare le nostre convinzioni per abbracciare l'ignoto, l'incertezza che tanto ci ha fatto tremare in passato.
Tanto da erigere a difesa imponenti mura composte da falsi giudizi, sicure opinioni, scientifiche certezze.
Per questo motivo provo sospetto verso chi abbandona tali convinzioni per abbracciarne subito altre.
Non è naturale.
Chi lascia un porto necessita di navigare per trovarne una altro. Trovarsi subito a terra significa essersi spostati poco e niente.
Il fatto è che, e forse non si direbbe, io apprezzo molto quell'incertezza.
E' mia abitudine cercare lo scontro ideologico. Sono un convinto oggettivista e credo che la realtà sia una ed una sola. Non accetto una forza casuale nell'universo e non disdegno di mandare a quel paese chi la pensa diversamente da me.
Ma questo mio essere un colloquiale despota non mi ha mai impedito di ascoltare gli altri. La mia famigerata nomea di barbaro della dialettica è figlia di questa mia volontà di cercare lo scontro di intelletto, di sbattere contro le altre navi disperse in mare, perché solo con tali incidenti la mia rotta è costretta a cambiare, a modificarsi per cercare il faro che prima non scorgevo.
Ogni volta che ho abbracciato una idea, l'ho fatta mia. Non ho mai parlato per bocca di altri. Non ho mai cercato le opinioni lì dove sapevo di trovarle a mio favore.
Senza contrasto non c'è litigio, ma senza litigio non c'è evoluzione, accrescimento, apprendimento.
Eppure vedo quanto è facile per molti di noi unirsi a gruppi di gente scelta. Comunità omogenee pronte ad avallare ogni forma di idea condivisa ed a demonizzare i diversi, coloro che dissentono o anche solo non seguono quello che, per forza di cose, presto si trasforma nel "Verbo".
Ancora più facile è mettere in discussione solo alcuni dettagli di sé stessi e convincersi di essere diversi. Di appartenere a pieno titolo ad un gruppo costituito.
E' facile e rassicurante, perché seguire la strada tracciata da altri è sempre confortevole.
Pensare di essere un altra persona dona un senso di comunione con il prossimo, porta a sentirsi puliti, diversi, perdonati di tutti i passati peccati, convinti che non potranno più ripetersi.
Che sciocca convinzione.
E' questa paura che ci porta a voler conoscere il perché di ogni cosa. Il motivo per il quale DOBBIAMO conoscere le ragioni dietro un delitto, per essere sicuri che a noi non possa capitare.
Per questo proviamo un senso di sollievo a sapere che la vittima era diversa da noi, che le motivazioni ci sono estranee.
Se una cosa può accadere a chiunque, può accadere anche a noi, e questo ci fa paura.
E' un istinto atavico.
Nell'antichità, era questione di sopravvivenza.
Conoscere il motivo per il quale la terra è smossa, significa non incontrare un animale predatore.
E quando una di queste ragioni sfocia nell'irrazionale, noi ci inventiamo una legge cosmica, una religione, un qualsiasi insieme di regole che ci metta ideologicamente al riparo dalla catastrofe improvvisa.
E' questo che ci fa sentire in pace quando ci convinciamo di essere parte della soluzione, anziché del problema. Ma questo è impossibile, perché parte del problema lo saremmo sempre, in ogni situazione.
Non si può accettare di essere colpevoli solo perché si è nati, perché altrimenti non si avrebbe il controllo sulla propria esistenza ...
Alla fine è questo che siamo. La nostra intera cultura multi millenaria è il risultato di un enorme, sconfinato complesso di impotenza.
Uscire da questo cerchio è visto come disonorevole, arrendevole, privo di dignità. Eppure così saggio.
Se vivessimo per sempre, tali dubbi ed incertezze sarebbero ben poca cosa .. ma il problema è che siamo limitati al tempo, e questo tempo lo perdiamo ad inseguire certezze su una realtà che non potremo mai afferrare.
Io credo nella realtà oggettiva, così come credo che nessuno possa mai raggiungerla.
Alcuni credono di averla raggiunta. E' questo lo trovo una tragica perdita di tempo.
mercoledì, ottobre 13, 2010
Un secondo
Un giorno un uomo chiese a Dio:
"Dio, cos'è per te un milione di anni ?"
E Dio rispose:
"Un secondo ..."
Allora l'uomo continuò:
"E cos'è per te un milione i dollari ?"
E Dio ancora:
"Un penny ..."
Allora l'uomo chiese:
"Dio, mi presteresti un penny ?"
E Dio, sorridendo:
"Certo. Tra un secondo ..."
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