giovedì, febbraio 02, 2006

Scacchi II

Mentre la lotta prendeva spazio sulla scacchiera, il crociato cercò di osservare quello scuro antro dove si trovava, illuminato da una tenue torcia che da un momento all’altro minacciava di spegnersi.
Più che una grotta, assomigliava ad un lungo tunnel, perso nelle profondità della terra.
Piccole gocce d’acqua cadevano ogni tanto dal soffitto al pavimento, creando un eco spettrale attraverso tutta la struttura. Una tenue linea d’aria soffiava da qualche parte, quasi la cava respirasse di vita propria.
“Come sono giunto qui ?” chiese al suo avversario.
L’uomo vestito di nero, tanto scuro quanto le ombre nelle quali si confondeva e dalle quali spiccava ben visibile solo il suo pallido volto, non spostò il suo sguardo dal gioco, attento nel valutare la sua prossima mossa:
“Ci sei venuto con le tue gambe”.
“Ma perché ? non c’è nulla qui” Insistette il guerriero.
“Per inseguire un altro uomo. L’uomo che ti ha colpito sul ventre”
Ancora l’altro parlò con voce neutra, come per rispondere ad una piccola seccatura.
La faccia del crociato si fece dubbiosa, pensierosa.
“Ma chi era questi ? come si chiamava ?”
Finalmente l’individuo fece la sua mossa, sollevando lentamente il pezzo e ponendolo sulla casella bianca poco più avanti, in contrasto con l’ebano del suo pedone.
“Il suo nome era Janus”
Janus .. un nome che significava qualcosa, qualcuno di importante …
L’uomo cercò di ricordare, ma era difficile; la sua memoria pareva andata in pezzi e rimetterla assieme era arduo, perché ogni parte era confusa.
Si ricordava di essere un guerriero, questo sì, e di essere giunto in terra straniera per seguire la sua fede, per combattere i demoni adoratori del demonio che abitavano quelle terre senza nome.
Si ricordava di aver combattuto ed ucciso, assieme ai suoi compagni; cavalcando di villaggio in villaggio ed assaltando anche le città più grandi, cinte da grandi mura e difese dai soldati del diavolo.
Ricordava la pelle scura dei suoi nemici, pelle scottata dalle fiamme degli inferi che li aveva partoriti. Ricordava lame ricurve e lingue incomprensibili, tanto diverse e blasfeme agli occhi suoi.
Ma ad un tratto un tassello importante del mosaico nella sua mente tornò d’improvviso a posto; e come un lampo che illumina una note intera negli occhi del soldato si accese una luce, mentre alle sue labbra affiorò un nome:
“Ysmaela !”
“Si – rispose l’altro strano inquilino di quella caverna – cominci a ricordare, ma solo perché puoi prendere il mio pedone; ma ricorda, per ogni pezzo che io ti lascio mangiare, tu ti avvicinerai di una mossa al baratro che ti attende”.
Parole tanto dure pronunciate con tanta indifferenza lo riportarono di colpo al momento presente.
Guardò di nuovo la scacchiera, facendo attenzione a come muovere i pezzi.
Decise che era troppo importante per lui ricordare meglio, ed optò per mangiare il pedone nero del suo avversario, anziché aprirsi una strada verso il suo re, come aveva intenzione di fare prima.
Appena il pedone di ebano uscì dal campo di gioco, lui rivide il volto della donna che aveva amato.
Ysmaela era bella, di una bellezza non convenzionale.
Non aveva capelli e boccoli biondi, né guance rosa e piene; non portava abiti lunghi o merletti di stoffa, e le sue dita non erano adatte a lavorare di maglia o a servire del tè.
Come tutte le persone che aveva visto in quel luogo dimenticato da Dio, la sua pelle era molto scura, i suoi occhi neri avevano un tratto tagliente, felino.
L’aveva incontrata mentre con i suoi compagni si appropriava di un campo di frumento, fonte di provvigione e ristoro per il grosso dell’esercito in marcia.
Lei stava ancora là, nei campi, nonostante la luna illuminava già da tempo quella serata spettrale.
Le sue braccia erano forti, muscolose per il duro lavoro al quale da piccola di sottoponeva; mentre i suoi capelli neri erano corti, come quelli di un ragazzo.
Ma anche nella penombra di una sera estiva, nonostante lei fosse vestita da maschio, con pantaloni e maglia di dura stoffa grigia e marrone, e a dispetto dello sguardo duro e deciso che quella donna gli rivolgeva; il crociato né fu folgorato dalla bellezza, dal fascino innato del diverso.
Ne poté richiamare alla memoria l’odore della sua pelle ed il tatto soffice dei suoi capelli.
Il tocco delle sue mani calde, le labbra morbide sopra le sue, le notti nello stesso giaciglio, le parole d’amore comprese prima di essere capite, oltre il muro delle lingue e del sospetto.
Ogni ricordo valeva l’errore compiuto per ottenerlo, poco importava vedere lo scuro alfiere avvicinarsi al suo cavallo e prenderne il posto sulla scacchiera.
“Ogni uomo ha il suo difetto”
La voce fredda dello scuro figuro di fronte a lui lo destò dalle sue fantasie.
“Ma quasi tutti sono uniti dall’egoismo”
Il crociato guardò il suo avversario in viso, sforzandosi di sostenerne lo sguardo spento.
Le sue parole lo avevano offeso, ma stranamente non capiva bene il perché …

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