venerdì, aprile 21, 2006

Cinema come arte

IL CINEMA E I FINANZIAMENTI STATALI Si finanzia l’arte o l’industria?

Marcello Gagliani Caputo

Forse non tutti sanno che gran parte dei film italiani che vengono distribuiti nelle sale cinematografiche sono finanziati dallo Stato. Ciò grazie all’articolo 28 entrato in vigore nel 1965 con lo scopo di dare un sostegno ai giovani autori (e produttori) esordienti coprendo il 90% delle spese con l’unica clausola che, se il film registra buoni incassi, questi soldi devono essere restituiti. Ad oggi, però, i dati dicono che soltanto il 20% dei film finanziati ogni anno riescono poi a restituire i soldi avuti dallo Stato a cui, per il restante 80% dei casi, non rimane che acquisire i diritti dei film stessi. Inoltre, la legge prevedeva che si può finanziare fino ad un massimo di 20 opere prime, ma nel 1994 autori e produttori hanno chiesto di allargare il finanziamento anche a film che, secondo una commissione di esperti nominata dal ministro per i Beni Culturali, sono di interesse culturale nazionale. A questo punto, però, il problema sorge nel momento in cui bisogna capire i criteri di scelta: spesso i finanziamenti, infatti, sono decisi in base alla sola sceneggiatura ed ai nomi, a volte abusati, che i produttori del film inseriscono nei copioni impedendo pertanto una giusta ed oggettiva valutazione. Chi dice, infatti, che da una buona sceneggiatura venga poi fuori un altrettanto bel film?
“Spesso ci siamo trovati delle bellissime sceneggiature che poi realizzate in termini cinematografici non hanno funzionato e viceversa”. Ha dichiarato alla trasmissione “Report” di Rai3 Rossana Rummo, ex direttore generale sezione Cinema del Ministero dei Beni Culturali. “Magari non abbiamo dato sostegno a film invece che dal punto di vista cinematografico e anche culturale hanno funzionato. E' inevitabilmente arbitrario, non so come dire. Si spera di fare meno errori possibili, però qualche errore si fa”.
Un altro problema è quello dei film finanziati che però non arrivano mai nelle sale cinematografiche, come ha fatto notare il regista Pupi Avati: “Ogni anno ci sono 30 film in Italia che non escono e sono tutti film finanziati con denaro pubblico. Ci sono, molto spesso, in corrispondenza con questi 30 film che non escono, 30 società che sono state formate per realizzare questi film e che falliscono alla fine della realizzazione dei film”.
Ma allora cosa fare per impedire questo autentico sperpero di denaro pubblico?
A gennaio l’attuale ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani ha modificato la legge reinserendo innanzitutto la pubblicità nei film (da adesso in poi chiunque potrà mostrare in primo piano un pacchetto di sigarette o un orologio di marca), togliendo il limite di 20 opere finanziabili (nel 2003 sono state finanziate 40 opere prime e 69 film di interesse culturale!), abbassando lo stesso finanziamento ad un massimo del 50% del budget di realizzazione del film e concedendolo soltanto a quei produttori che possono dimostrare di avere già l’altro 50% e che abbiano alle spalle esperienze di incassi che possono assicurare la restituzione del finanziamento ricevuto. E visto che questo “altro” 50% deriva di solito (diciamo al 99,99%) dalla vendita dei diritti tv, che fine faranno i giovani produttori indipendenti? Probabilmente saranno destinati a scomparire, lasciando sempre più spazio al duopolio Rai-Mediaset (Rai Cinema e Medusa) che a loro volta finanzieranno sempre e comunque opere tv-compatibili contribuendo all’inevitabile trasformazione del cinema da arte a industria.

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