venerdì, giugno 23, 2006

Pittore

Il pittore chiuse la porta del piccolo e sporco appartamento dove viveva.
Lei era appena uscita e senza la luminosità della sua pelle tutto ritornava in quel grigiore da pellicola anni venti.
Un passo dopo l'altro nelle pantofole di due misure più grandi e l'artista si avvicinò alla tela coperta dal lenzuolo bianco che celava il dipinto. Un lavoro a metà non esiste, per questo veniva coperto. L'arte è o non è, non è mai incompleta. Scoprirla sarebbe un sacrilegio al pari di tirare giù un crocifisso da un altare di una chiesa di campagna.
Ma quella notte il pittore si sentiva un eretico, e lasciandosi cadere sul suo sgabbello di legno tarlato, poggiò la mano su di un lembo della stoffa, tirando giù il velo e facendo respirare la tela.
Quanto era bella la donna che aveva ritratto.
La sua personalità era tanto forte da irrompere nel mondo fisico, modellando negli anni il suo aspetto perché divenisse allegoria di sé stessa; monumento vivente alla sua indole.
Quei ricci corvini che tornavano e giravano su e giù, in un soffice mare nero che le incorniciava quel volto felino.
Il suo corpo non più giovane ma asciutto; tonico e temprato a richiamare la sua ferrea volontà di essere e vivere. I suoi occhi di profondo ebano in cui smarrirsi tra i riflessi del mondo. La sua bocca carnosa ed imprevedibile, dalla lingua misteriosa ed attraente.
Il sacro ed il profano sembravano coesistere in un unica forma mortale, essenza di bianco e nero, di vita e di peccato e di opposti e paradossi.
Come poteva imbrigliare tale forza sconosciuta ?
Quale tela o pennello, quale mistura di colori può imitare la vita più di quanto la vita non faccia con i colori stessi. Chi insegue chi, in un arte monca di un anima.
Gli occhi del pittore si fissarono sugli occhi della sua musa, che pareva ricambiare con altrettanta presenza e ridere di lui attraverso un mondo innaccessibile se non dalla fantasia.
Il suo corpo nudo adagiato su quel divano sporco di rosso, i suoi capelli che scendevano come un mantello di pura pelliccia.
Come poteva il selvaggio che era in ogni uomo essere attratto da tale visione al pari del suo io cosciente ? Tutto sembrava confondersi e perdere significato nell'enigma che quella donna richiamava. Spingeva l'osservatore a cercare di capire, e a capire di non capire. A comprendere l'inutile, a cercare il vuoto dello spazio.
L'artista si alzò di colpo e diede uno schiaffo ad una immagine tanto blasfema. Il quadro caddè e si ruppe sul pavimento di legno scheggiato, con un tonfo che ne ricordò l'artificialità.
Come mai aveva potuto pensare di possedere le mani di Dio ? Ciò che quella donna era non si poteva replicare. Nessuna arte o scienza o alchimia avrebbe mai saputo riprodurne la chimica.
Scostando la pesante tenda il pittore scoprì nella finestra una città coperta da una pioggia tenue di febbraio.
In fondo alla via, una immagine a lui famigliare si stringeva nell'impermeabile grigio alla fermata dell'autobus, scostando la scura criniera dal suo volto meraviglioso.
Sarebbe stata così per sempre; pensò lì dov'era.
Sarebbe rimasta ad ascoltare, ad odorare, ad assaporare e vedere la vita scorrerle dentro come nessuno mai oserebbe in questo tempo. Sarebbe invecchiata, si sarebbe innamorata, si sarebbe svagliata e si sarebe addormentata.
E lui avrebbe dato tutto per poterla osservare; riflesso della vita che lui poteva solo dipingere, fingere di dipingere, ingannando sé stesso.
Il pittore si inginocchiò e si prese la testa tra le sue tanto amate mani.
Pianse, non di gioia, non di dolore. Pianse di vita.

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