lunedì, ottobre 23, 2006

Espiazione

Don Marco commentava tra sé e sé le pagine patinate della rivista sportiva quando la porta del confessionale si aprì, portando luce solare all'interno della cabina e costringendolo a chiudere gli occhi e riporre la rivista.
Quando la porta si chiuse, la luce fioca della tradizionale candela, che il parroco si ostinava a mantenere, divenne l'unica illuminazione presente, rendendo l'atmosfera pacifica tanto quanto cupa.
Attraverso la rete di legno Don Marco impose le mani recitando, assieme con il fedele, "L'atto di dolore", con l'abituale ritualità di chi eseguiva la preghiera decine di volte al giorno; poi chiese cosa quell'uomo aveva da confessargli.

- "Sono qui, padre, perché sto per commettere un grave peccato".

Le parole del religioso erano sentite, il prete lo dalla voce, quasi interrotta da un'emozione soppressa; tuttavia l'esordio di quella confessione era quanto meno inusuale.

- "Cosa intendi dire figliolo ? - Gli chiese amorevolmente - Se non hai ancora peccato nulla di costringe a farlo".

- "Non è così, padre. Ho il dovere morale di peccare, il dovere imposto da ciò che è giusto e che non può più essere rimandato".

Curioso, Don Marco cercò di intravedere il confessante tra i buchi della parete che li separava. Da ciò che vedeva sembrava un'uomo del paese, qualcuno che sicuramente aveva visto più volte ma che non frequentava abbastanza dal riconoscerne la voce.

- "Qual'è il peccato che pensi di dover commettere, allora?" Chiese con una punta di curiosità.

- "Devo uccidere una persona, padre" Rispose secco quello.

Ci fu un'attimo di silenzio.

- "Come scusa ?"

Il prete rimase basito. Pensò di aver capito male ma si rese conto che non era così.

- "Ho detto che devo uccidere un uomo".

Per un'attimo sentì l'impulso di aprire la cabina, andare dall'altra parte e schiaffeggiare quell'uomo che lo prendeva in giro minacciando di commettere omicidio nella casa di Dio.

Ma l'uomo dall'altra parte non stava scherzando; a farlo capire c'era il tono di voce, l'età adulta che quella dimostrava, il peso grave della coscienza che Don Marco aveva imparato a riconoscere, e che quell'uomo portava addosso come un sudario.

- "Perché devi ucciderlo?"

Don Marco pensò che sarebbe stato più urgente sapere chi fosse la vittima, ma aveva paura che quell'uomo potesse andar via, lasciando la propria confessione a metà.

- "Devo farlo padre, perché quell'uomo ha commesso troppe malefatte. Quell'uomo è un criminale, un assassino, un mafioso".

Cercando di non farsi notare il prete spostò la candela in avanti, illuminando maggiormente la cabina.
A Don Marco gli parve di riconoscere un uomo che spesso aveva visto in chiesa, un certo Luca Orsolani, che aveva una moglie gravida che lo accompagnava sempre.

- "E di chi si tratta?" Azzardò il confessore.

- "Di un'uomo che non merita un nome, padre. Dovete sapere che durante gli anni passati quest'uomo ha ucciso molte persone di mano sua. Alcune per affari, altre per spaventare o punire altre persone. Altre ancora, invece, le ha uccise con la droga, diffondendola per le strade, spacciandola lui stesso".

- "Ma sta a Dio decidere della morte di ognuno di noi; non a te, non a me, ma a Dio".

Il fedele dall'altra parte si espose di più alla luce, rivelandosi per l'uomo che Don Marco aveva pensato.

- "Dio lo conoscete meglio di me, padre. Dio perdona, perdona sempre. Lo ha perdonato quando in carcere gli ha fatto fare solo due anni per aver massacrato una famiglia. Lo ha graziato quando è fuggito via dalla città per rifugiarsi dalla questura. Si è come dimenticato di lui mentre passava anni felici sulla terra dove aveva seppellito tanti paesani".

- "Se questo è ciò che Dio a deciso - Incalzò il prete - allora questo devi accettare. Chi sei tu per opporti al volere di Dio?"

L'uomo tornò nell'ombra, come a pensare a quelle parole. Prima di parlare, scosse la testa, a rifiutare quella logica:

- "Padre, voi davvero vorrestre stare accanto ad un uomo del genere? Vorreste davvero vederlo giocare con i bambini, costruire una casetta sull'albero, giocare a calcio in oratorio?"

Don Marco ammise dentro di sé quanto quel pensiero gli fosse avverso. Dentro di lui avrebbe forse gioito della morte di un'assassino mafioso; ma ora indossava la tonaca, e quando la indossava, anche il suo spirito doveva essere all'altezza di ciò che rappresentava.

- "Se è questo che Dio vuole .." Disse ancora, cacciando via ogni cattivo pensiero.

- "Io non posso vivere così, padre. Io devo fare qualcosa! Non permetterò che un simile mostro goda di una lunga vita amorevole, non consentirò a quell'uomo di traviare altre giovani vite, di portarle nell'abisso come suo padre fece con lui".

Don Marco si sentì attaccare da quella voce che ora era irruenta, insofferente alla parola del signore.
Anche lui quasi perse le staffe nel tentativo di far rinsavire l'uomo:

- "Basta, Luca! Basta! Ma non pensi a tua moglie? Non pensi al figlio che state per avere? Se uccidi quell'uomo andrai in gabbia e non potrai più crescerlo, non potrai godere del loro sorriso, del loro abbraccio!"

Per un'attimo il prete si convinse che le sue parole avevano toccato il punto.
Luca rimaneva in silenzio, nell'ombra, forse a ricordare i momenti felici che aveva passato, forse ad immaginare quelli che lo attendevano.
Poi, sommessamente, cominciò a ridere.
La risata si fece più forte, udibile anche fuori dalla cabina. Una risata cupa, tenebrosa nel suo schernimento.

- "Si, padre, ci penso. Ci penso sempre".

Luca si alzò ed uscì dal confessionale.
La chiesa era vuota in quel pomeriggio di giugno. L'altare immacolato sotto la navata dipinta. L'odore del ciliegio delle panche unito a quello dell'incenso riempiva l'aria.
Il freddo metallo tra le dita.
Luca portò la pistola alla tempia e tirò indietro il cane.
Il boato risuonò come una campana tra i dipinti del Cristo e le colombe che spaventate volarono via dai loro nidi.
Il sangue aveva lavato via ogni peccato.
Suo figlio. Suo figlio si, sarebbe stato un'innocente.

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