giovedì, ottobre 19, 2006

Daisy e Queen

Daisy si portò il pesante piumone rosa fin sopra alla testa, coprendo per intero il suo piccolo corpo appena undicenne.
Si ricordava di un tempo in cui il solo peso di quella coperta aveva il potere di farla sentire protetta, invisibile ai mostri che dominavano le tenebre della sua casa.
Con le sue piccole mani poteva avvolgersi in quel tepore rincuorante, tagliandosi fuori dal mondo, scomparendo da ogni dolore e paura.
Era stato così per tanto tempo, fino a quando il mostro più pauroso di tutti non l'aveva scoperta, strappandole via il piumone con la sua forza dirompente, rivelando la fragilità di ogni sua sicurezza. Ogni speranza sparì come una barchetta di carta gettata in un tifone.
Quella notte era venerdì, il primo venerdì del mese, e Daisy sapeva che il mostro sarebbe tornato.
Avrebbe preso possesso di suo padre e le avrebbe fatto del male, tra le risa e gli scherni immersi in quell'orrendo alito sapor di alcol.
Quante volte aveva tentato di parlarne con qualcuno?
Aveva fatto disegni del mostro a scuola, ma la maestra aveva detto che non erano belli, e l'aveva detto a suo padre.
Aveva pianto in braccio a Don Mattia la domenica pomeriggio in oratorio, ma gli aveva poi mentito, dicendo che si era fatta male giocando, per la troppa paura e vergogna.
L'unica che le aveva creduto era Queen, la sua cara amica Queen, che l'aveva consolata dopo ogni venerdì sera, che le aveva dato la forza di resistere, le aveva insegnato a scomparire, a scappare via dai mostri seguendo le vie dei sogni e dei desideri.
Daisy abbracciò le proprie ginocchia, stringendole contro il petto ancora più forte di prima, cercando di non respirare.
Attraverso le maglie della coperta poteva vedere i numeri rossi della sveglia segnare le due, l'ora in cui il mostro le faceva visita.
Chiuse gli occhi pensando a Queen. Lei le aveva detto che questa sarebbe stata l'ultima volta, che questa notte qualcosa sarebbe cambiato.

- "Cosa vuoi dire?" Le aveva chiesto dopo quelle rivelazioni, ma lei aveva scrollato le spalle e le aveva detto di stare sotto le coperte, come faceva da bambina.

- "Non devi avere paura Daisy, - L'aveva confortata Queen - Questa notte sarà l'ultima. Non avere paura".

Daisy non capiva cosa avesse in mente la sua amica, ma quella sua limpida determinazione l'aveva in qualche maniera rassicurata, l'aveva resa un'altra volta più forte.
Quella forza, però, era ora solo un ricordo e l'ansia le aveva attanagliato i fianchi, rendendola rigida come un pezzo di legno.
La porta si aprì lentamente. Un fascio di luce tagliò in due la stanza, illuminando anche il letto, penetrando tra la stoffa della trapunta, scovando Daisy nel suo mondo segreto.
Un passo, pesante quanto l'uomo che stava entrando, invase l'intimità della sua cameretta.
Una voce balbuziente, dall'accento alterato dal vino, la chiamò con falsa gentilezza:

- "Daisy .. piccola mia ... è il tuo paparino .."

Un groppo in gola bloccò il respiro della bambina.

- "Daysiii.. Daisy! Rispondi dai.."

Daisy non riusciva a parlare. Gli occhi le si riempirono di lacrime stoppose, che non volevano scorrere sul suo viso rimanendo lì, bloccate anch'esse.

- "DAISY! - disse ad alta voce il mostro - DAISY NON FARMI ARRABBIARE!"

Contratta, costretta, Daisy si ricordò di dover respirare, ma non ce la faceva. Si sentiva venir meno, si sentiva svenire. Strinse gli occhi più forte che poté, portò la sua mente nei sogni più felici, quelli pieni di fiori e farfalle gialle e azzurre.
Il mostro si avvicinò ancora:

- "Su alzati Daisy, è ora..."

La bambina si alzò sopra il letto, togliendosi le coperte di dosso.
Rimase lì in piedi, nella sua vestaglietta verde con i merletti blu, con lo sguardo fisso negli occhi del mostro e con il taglierino del padre in mano.
Il mostro la guardò seriamente per un attimo, prima di scoppiare a ridere. La osservò di nuovo, con ironia:

- "Cosa vorresti fare piccolina ? Vuoi uccidere tuo padre ? Vuoi uccidere tuo padre, Daisy ?"

La bambina ricambiò lo sguardo del padre, senza ironia, senza odio, senza emozioni.
Parlò con voce calma:

- "No. Non voglio ucciderti. E non sono Daisy".

Queen appoggiò la lama arrugginita al suo gracile collo e tirò via con forza la mano.
Il sangue le ricoprì il corpo, inzuppando l'intero vestito da notte.
La riscaldò, come faceva la coperta che usava da piccola, come faceva l'abbraccio di suo padre.
La riscaldò e la portò via, verso un sogno di fiori e farfalle gialle ed azzurre.
Senza mostri, senza venerdì, senza tempo.
Senza dolore.

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