lunedì, agosto 11, 2008

City of Yama

Brian e Aronne entrarono nell’ascensore dalle imbottiture rosse dell’hotel Josephin, sperando che qualcuno premesse il tasto del piano desiderato.

Negli ostelli o in quegli alberghetti ad ore a Sud di Boston è relativamente facile arrivare alle scale senza essere costretti ad attraversare delle porte, ma il Josephin era un posto di lusso, uno di quelli da ottocento dollari a notte, e lì le scale erano sempre chiuse e raramente utilizzate.

Brian non si era ancora abituato alla cosiddetta “Dipendenza architettonica”. Attendere in piedi accanto alla pulsantiera senza premere nulla lo faceva sentire ridicolo. Aronne, dal canto suo, era perfettamente a suo agio nel suo completo italiano rosso a strisce nere, tanto da apparire parte dell’ambiente.

Brian osservò il collega. I suoi abiti non dovevano essere particolarmente costosi, ma la sua pelle nera, la testa rasata ed il suo fisico alto ed asciutto, in forma per un’uomo di mezza età, facevano risaltare ogni piega di quel tessuto luccicante. Il suo aspetto avrebbe potuto essere quello di un manager o di uno stilista, ma bastava la presenza di Brian e del suo spolverino marrone a riequilibrare i toni del duo.

Finalmente entrò una cameriera orientale che premette il tasto giusto e l’ascensore cominciò lentamente a salire.

Mentre i tasti si illuminavano uno ad uno segnalando il trascorrere dei piani, il nervosismo dentro Brian cresceva.

Non era la sua prima azione, non era certo un pivello, tuttavia la tensione è qualcosa al quale non ti abitui mai veramente. Ti attanaglia ai fianchi, ti porta a muovere convulsamente le dita, le gambe;

a volte spinge a dire cose futili, e Brian si trovò presto a sottolineare ciò che era ovvio:

“Il bastardo dovrebbe stare alla 333. Non riesce a lasciarsi alle spalle quel fottuto numero” disse con fare distratto.

“Ognuno ha le sue fissazioni – ribatté con calma Aronne, - Sicuramente il numero 3 ha un qualche significato occulto per quanto riguarda la sua vita passata, qualcosa legato alla sua dannazione”.

“Sai che non mi interessano queste filosofie. Questo bastardo ha già fatto quattro vittime e questa volta stai pur certo che non me lo lascio scappare”.

Le porte si aprirono e la cameriera fece due passi indietro costringendo Brian ad appiattirsi in un’angolo per non essere toccato.

Una volta uscita, i due colleghi si diressero con decisione a destra, prestando attenzione con lo sguardo ai numeri delle stanze in veloce crescita. Arrivati davanti alla 333, entrambi tirarono fuori dalla fondina le pistole, controllando i proiettili al loro interno.

“Io sono a posto. Appena entriamo ci dividiamo, il primo che lo avvista spara”.

“Tranquillo, come fatto” Rispose Brian e con uno sguardo deciso attraversò la porta di ingresso.

Aronne si mosse verso il bagno e la stanza da letto, Brian si diresse rapidamente verso la sala principale, l’arma ben salda in pugno.

In piedi a guardare dalla finestra la strada sul quale si affacciava la stanza c’era il legittimo inquilino dell’Hotel, un’uomo alto e magro, appena vestito, con una tazza di caffè caldo in mano.

Brian puntò su di lui la pistola, per poi scorrerla su tutto l’ambiente, cercando l’anomalia, la faccia bianca e traslucida del suo nemico.

Il suono assordante dell’arma di Aronne riempì l’aria. Brian si girò di scatto nella direzione dello sparo ed un’ombra luminosa attraversò l’uscio della sala, dirigendosi verso il piccolo e stretto corridoio interno attraversando la porta d’ingresso.. Brian si gettò nell’inseguimento.

Il “perduto” correva in maniera sbilenca ma veloce. La sua postura era decisamente animalesca: Le braccia ciondolanti davanti al busto ricurvo, le gambe storte che arrancavano nella speranza di correre più veloce, la testa che non la smetteva di girarsi a cercare una via d’uscita, nonostante un solo sguardo bastava chiaramente a mostrarne l’assenza.

Brian si fermò a puntare la pistola e sparò. Il colpo ferì l’essere alla gamba destra facendo ruzzolare la sua forma umanoide sul pavimento.

Rallentando, Brian lo raggiunse continuando a mirare alla sua testa.

L’essere era di sesso maschile. La sua mascella era esageratamente ingrandita per via dei denti aguzzi, troppo lunghi per rientrare nella bocca. I suoi occhi sgranati roteavano all’impazzata dando al mostro un’espressione impaurita e confusa.

Aronne giunse proprio quando Brian premette il grilletto. Il proiettile fantasma penetrò nel cranio della creatura. Tutta il corridoio si riempì delle urla stridule di dolore del mostro, che contorcendosi convulsamente sembrava quasi combattere contro il dolore della ferità mortale.

“Odio quando fanno così” Commentò Brian.

“Ce ne vuole un’altra” Concluse Aronne. Brian mirò nuovamente alla testa e premette il grilletto. Un secondo colpo attraversò l’occhio sinistro del fantasma, andando a depositarsi nel cervello, ancora ben visibile nel corpo traslucido dell’essere.

Le grida cessarono di colpo.

“E’ assurdo quanto siano attaccati a questo mondo. Nemmeno le pallottole sembrano servire più”.

“Non pensarci. Sono solo rari casi isolati, di solito una è più che sufficiente”. Aronne rinfoderò la sua arma seguito da Brian, poi entrambi cominciarono a dirigersi verso l’ascensore.

Una voce alle loro spalle lì fece girare entrambi di scatto. Il cadavere stava parlando.

“Un Turish !!”. Aronne si lanciò verso il corpo disteso sul terreno con velocità felina, scivolando sul pavimento con le ginocchia per raggiungerlo già chinato su suo volto, per sentire meglio.

“Sta parlando, sta parlando!” Disse eccitato, più a sé stesso che al proprio collega.

“Ancora con questa storia, dicono cose senza senso, sono soltanto dei residui”. Brian venne zittito con un forte “ssshh” del suo compagno.

La creatura balbettava, sussurrava …

La volontà di concepire delle parole di senso compiuto si scontrava con la morfologia della sua mascella sproporzionata. Nell’agonia, l’ultimo messaggio del mostro faticava ad uscire a causa della sua stessa natura.

“Notte ..” Pronunciò.

“Notte! Ha detto ‘Notte’!” Ripeté Aronne.

“Arriverà di notte. Giungerà nel cuore delle anime, le strapperà dal loro petto …”.

“Sembra una filastrocca” Osservò Brian. Il suo interesse per la cosa era decisamente scarso, ma l’orecchio era comunque teso ad ascoltare le parole profetiche del moribondo.

“Arthut! Arthut! Arthut! ARTHUT !!!!!”

Il fantasma si dissolse d’improvviso, disperdendo la sua essenza nell’aria. Al suo posto, il pavimento lucido dell’Hotel sembrava non aver mai ospitato una simile mostruosità.

Aronne si rialzò con lentezza, lo sguardo corrucciato ad indagare su ciò che aveva sentito.

“Contento ora ?” Chiese Brian sardonico.

“Sembrava un Turish di cattivo presaggio. Un contatto nefasto”.

“Perché ti ostini a credere in queste cose ? Tutte le volte che uno di quei cosi ha parlato è stato sempre e solo per dire scempiaggini”.

“Il Turish non è una scempiaggine. Quando un’anima muore per la seconda volta entra in contatto con il divino. Lui entra nel suo mondo dove il tempo non esiste ed il passato, il presente ed il futuro si fondono. Le sue parole divengono profezia”.

Brian rinunciò a ribattere un argomento che aveva già affrontato molte volte. Il suo collega era di diversa opinione e di norma simili discorsi finivano con una paternale da parte del nero.

“Come vuoi” Si limitò a dire.

Alla fine, entrambi tornarono all’ascensore, aspettando che qualche cameriera ritornasse al pian terreno, mentre dalla stanza 333 usciva l’uomo con il caffè in mano a prendere il giornale poggiato davanti alla porta.


Continua (Forse) ...

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