lunedì, novembre 12, 2007

Prigionia

Nonostante la scarsa luce che illuminava quell'antro scuro e polveroso, Shevi cercò comunque di cominciare a scrivere le sue ultime parole.
Il freddo e l'umido si avventavano sul suo magro corpicino coperto solo dalla juta intrecciata, così come un lupo famelico infierisce sul cadavere della sua preda.
I piedi nudi poggiati sulla pietra grigia; le sue mani tremanti che cercavano il conforto nelle lunghe maniche delle sue vesti.
La cella era minuscola, anche per un essere tanto piccolo come lui.
Nulla di quelle segrete avrebbe potuto offrire un riparo dall'angoscia e dal dolore che lo divoravano da dentro, così Shevi aveva impugnato il suo pezzo di carboncino e i pochi fogli che aveva nascosto alle guardie, in modo da tirare fuori i dolori sepolti nella sua anima.
Cominciare era sempre difficile.
Avrebbe voluto riportare la mente ai giorni felici nelle valli di Sernia, dove la sua fanciullezza era scivolata via veloce come il volo di una farfalla, ma il grigio che lo circondava aveva indebolito anche i sua memoria, seppellendo anche i ricordi più sereni.
Shevi si morse le labbra e strinse gli occhi, finche il sapore del suo stesso sangue non gli riempì le narici.
Non avrebbe accettato anche quell'ennesima tortura. Vedersi privare della sua vita passata, dei suoi rifugi più intimi, della sua intera esistenza.
Una goccia di sangue colpì il foglio che vibrava nelle sue mani tremolanti e il piccolo uomo si svegliò.
Nulla faceva intuire quanto tempo fosse passato, ma il gessetto caduto di mano era oramai sparito, i fogli, ancora stretti nelle sue mani, erano ora strappati e tropicciati, ed la ferita alla bocca era rimarginata.
Un solo battito di ciglia ed il mondo aveva girato per ore, forse giorni.
Il tempo aveva perso ogni significato. Shevi non lo vedeva più scorrere, non udiva più alcun suono e la luce che passava tra gli infissi della porta d'acciaio era solo una tenue macchia di colore in un quadro nero pece.
Shevi pensò di essere morto. Forse la morte altro non era che l'ultima immagine della propria vita, impressa con dolore dentro il proprio spirito.
Eppure, nonostante questi pensieri, nonostante il fiato tanto flebile da non essere avvertito ed i battiti del suo cuore talmente lievi da non far rumore, Shevi poteva sentire una fiamma brillare ancora dentro di sé.
Una ninfa che resisteva al mondo. Nascosta nelle viscere, incastrata.
Quando sarebbe venuto il momento, forse quella ninfa sarebbe tornata a scorrere, a pulsare, mettendo nuovamente in moto tutto; o forse sarebbe stata insufficiente allo scopo e sarebbe rimasta lì, inutile.
Un rimpianto biologico.
Il mondo fece ancora i suoi giri. Ruotò e ruotò ancora. Per anni.


P.S. non so perché ho scritto sto' racconto senza speranza ma soprattutto senza senso, ma mi andava :P (Non lo leggete).

1 commento:

Anonimo ha detto...

ciao, interessante......, mi ricorda molto lo stato d'animo che mi pervade ogni volta che devo prendere delle importanti decisioni di vita.
glp