mercoledì, aprile 01, 2009

Minerva

Anima libera, Anima nera
Colei che soffre per una vita intera,
Nel creato che ti hanno donato
Del fato buio che la notte ha portato.

Così iniziava la mia prima poesia.
La scrissi a dieci anni sotto le coperte della
mia cameretta, vegliata dalle ombre dei giocatolli che mostruse si
ingigantivano alla luce della mia bagiure.
L'oscurità, che tanto intimoriva le mie coetanee, era sempre stata la mia
più grande fonte ispiratrice, la mia musa prediletta.
Già dalla più tenera età la cupa atmosfera delle mie poesie era stata la causa del
mio successo e dei miei problemi.
Più i miei componimenti inorgogliosivano i miei genitori ed insegnanti più sentivo
aumentare la distanza che mi separava da loro e dagli altri; ogni rima un passo verso
la notte lontano dal caldo focolare di casa mia.

Ero sempre stata una emarginata, stretta tra compagni di scuola troppo infantili e
docenti adulti troppo banali. La vita mi scorreva davanti come un film già visto.
Niente mi emozionava veramente, né il successo accademico alla quale ormai ero
abituata, né il falso amore della mia famiglia che da esso scaturiva.
Il giorno dei miei diciotto anni, ricordo che tornai in giardino a prendere dall'albero
cavo il mio diario segret e lo bruciai. Il tempo dei sogni infantili era finito,
la vita non era altro che una sequenza di impegni, cerimonie e bigotti sorrisi.

La mia famiglia era ricca.
La nostra casa a Back Bay era una stupenda villa in stile coloniale,
con un giardino di 500 mq ed una moltitudine di giardinieri portoghesi
a curarne ogni singolo cespuglio.
Forse la mia memoria di bambina mi inganna, ma ricordo di aver
visto mio padre la prima volta soltanto compiuti i quattro anni,
quando tornando dal suo viaggio di lavoro trovò una figlia in trepidante attesa
che liquidò in pochi minuti di affetto ed un regalo costoso.
A sei anni ero già fuori di casa.
Il collegio nel quale ero stata mandata a studiare costava una moltitudine
di dollari l'anno appositamente per tenere lontana la prole dalle
coppie troppo focalizzate su sé stesse per prendersene cura.
QUando cominciai a scrivere, le cose in minima parte cambiarono.
Non era conveniente ignorare una bambina prodigio quando si poteva appenderla su uno
stendardo per far sì che tutti l'ammirassero.
I miei genitori attinsero alle loro conoscenze per darmi tutto lo spazio
creativo del quale potevo aver bisogno, vantandosi ai quattro venti
di quanto era bella ed intelligente la loro figlioletta, di quanta
capacità artistica era dotata.
Nemmeno l'ironia che a fargli tanto piacere fosse il frutto della mia
indifferenza verso il mondo mi dava veramente soddisfazione.
Semplicemente mi ero rassegnata tempo prima.

La vita, intanto, andava avanti.
Vinsi qualche premio regionale, finì gli studi obbligatori e passai gli esami di
ammissione per Harvard.
Una volta al college ebbi più tempo per dedicarmi alle mie passioni letterarie.
Ero attratta dai libri meno conosciuti. Passai molto tempo a ricercare
autori mai sentiti, libri perduti. Più era arduo rintracciare un testo, più la mia curiosità aumentava.
Questo piccolo hobby mi consentì di superare i seguenti anni di tedio, composti da
esami, colloqui ed inutili compagni di stanza.

Quando gli esami finali si stavano avvicinando, ero ormai considerata una vera promessa
della letteratura moderna. Mi ero specializzata in letteratura classica, forse
cercando nelle passate filosofie una risposta esistenziale che ovviamente non c'era.
Stavo preparando la mia tesi sul culto della morte etrusco quando sentii quella cosa.
Essa proveniva dalla mia anima, da qualcosa dentro di me che pensavo non esistesse, che
fosse solo una stupida invenzione religiosa.
Qualcosa dentro di me si era risvegliato. Era desto, vivo, e desiderava emergere.
Fu un periodo confuso. Ricordo che mi svegliavo di notte, tesa, e per calmarmi
prendevo quei libri e li studiavo, trovando in essi una sorte di pace, di appagamento.
Anche la gente intorno a me sembrava notare il mio cambiamento.
I miei componimenti si fecero più criptici, di poca popolarità. Spesso era difficile
anche per me riuscire a dare un significato a quelle rime così astratte, al di fuori
di ogni contesto narrativo.

Poi arrivò colui che mi spiegò tutto ...

... Ed ora sono qui.
Sono una maga, sono una Guardiana del Velo, ed ho ritrovato me stessa.
Dopo la visione del mondo di Stige che come un uragano spazzò via tutte le mie
incertezze e convinzioni capovolgendo il mio universo, ora sono una persona nuova.
Ho abbandonato tempo fa la mia famiglia, sono stata maledetta e diseredata dai miei
genitori, ho lasciato l'università un minuto prima di discutere la mia laurea.
Ho dimenticato i lussi del mondo ovattato dove sono cresciuta, il solo riportarli alla
mente mi irrita.
Ho deciso di abbandonare ogni atteggiamento, ogni filtro che poteva esserci tra me ed
il mondo che mi sta intorno è caduto, calpestato dalla folla di emozioni che ogni
giorno getto fuori di me, lontano, sempre con maggior vigore.
Vivo, assaporo, vedo i colori e me ne nutro.
Ho cominciato a suonare, a cantare. Scrivo ancora ma solo per poi stracciare sempre
le mie poesie e buttarle nel cestino.
Come ogni cosa vivente, anche l'arte nasce, cresce e muore.
L'immortalità è frutto di stupide fantasie. Si muore per divenire fantasmi, ma anche
un fantasma può morire.
Tutto ciò che abbiamo è qui ed ora. La compensione dei misteri, lo spirito della magia,
tutto ciò che abbiamo è destinato a finire, ma questo per me ora non è più motivo
di depressione, ma di azione, di voglia di fare.
Qui ed adesso, così vivo la mia vita. Non sono diversa da tante altre persone. Forse
nella folla urlante di una discoteca punk puoi perdermi di vista, possono confondermi e
sembrare una stupida poco di buono, ma io so cosa ci aspetta, l'ho visto.
E questa compresione mi ha cambiata per sempre.

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