venerdì, marzo 12, 2010

vita di ufficio

Dopo un certo numero di mesi nei quali mi trovo ad occupare il mio tempo presso un ufficio, è mia abitudine fermarmi per fare il punto della situazione; una sorta di training autogeno concentrato in un paio di minuti.
Minuti importanti, per quel che penso.

L'ufficio è un luogo strano. Per i Dylandoghiani può essere un inferno sulla terra, ma in realtà si tratta più che altro di un mondo parallelo in cui le leggi sociali come noi le conosciamo mutano lentamente nel tempo, in maniera subdola, uniformandosi a quel modello di subordinazione tanto caro alla nostra umana natura troglodita.
All'interno di un ufficio le persone non sono più simili. E' impossibile esserlo. Ci si definisce come colleghi, ovvero persone accumunate da una mansione lavorativa, ma essi non sono altro in realtà di figure sottomesse ad altre figure, ognuna intenta a preservare il proprio ruolo all'interno di quell'enorme catena alimentare chiamata lavoro dipendente.
Quando si viene assunti, ognuno di noi si sente una persona. Essa ha un valore intrinseco che gli consente pari dignità e diritti, ed il luogo di lavoro altro non è che il posto nel quale si svolgono le proprie mansioni.
Basta un pò di tempo, però, che tale percezione svanisce per venire sostituita da una forma di identità più complessa. Non si è più una persona ma una posizione. Gli altri non vanno più valutati in base alla loro natura ma sul loro contratto, sulle loro amicizie, sulla gerarchia che regola la vita professionale che ormai è divenuta la vostra intera vita e non più quella misera porzione che voi guardavate con distacco fino a qualche mese prima.
Senza questi due minuti credo non mi salverei dalla sindrome da ufficio.
Se non mi fermassi un attimo per ridimensionare le cose prima che sia troppo tardi, finirei per esserne fagocitato, inglobato in quel mondo distorto in cui si deve tener conto di chi si saluta, a chi ci si rivolge, a come muoversi e come parlare.

E' come possedere l'unico anello di Tolkien. Dapprima si tratta solo di un anello e tutti sappiamo come dovremmo utilizzarlo, ma in seguito diventa la nostra vita, la nostra anima, tutto ciò che abbiamo, e faremmo di tutto per difenderlo. Accetteremmo qualsiasi cosa.
Se si è in grado di fare questo, probabilmente si farebbe anche cariera, ma io non ne sono in grado, e ne sono veramente fiero.
Continuerò a prendermi questi due minuti, facendoli diventare anche quattro, se avrò voglia.
Si vive una volta sola.

1 commento:

Anonimo ha detto...

condivido........ la "carriera" è quella dell'animo!, difendere tale fede impone contrapporsi a chi o a cosa tenta di privartene, ma .......... difendere ha molteplici strade e quella di Don Chisciotte è la più fascinosa ma la più inefficace.
Difendere è una lunga strada che impone determinazione e costanza,........anche i due minuti, se costantemente ripetuti, possono bastare.
interessante ed attinente potrebbe essere la fine del film "codice genesi" :
ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho mantenuto la fede, ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà....San Paolo 2Tm (seconda lettera a Timoteo) 4, 7-8a.
ciao pap